Eh, quasi millencinque!

Penso che pochi non abbiano mai visto questo gioiellino del cinema italiano. Credo che sia uno di quei casi di film che si tirano fuori almeno una volta all’anno, per farsi una risata o anche per scoprire qualcosa che non si era notato prima. Come disse un amico una volta, ogni scena racchiude particolari su particolari: se si guarda Benigni, si perde quello che sta facendo Troisi o qualche comparsa alle spalle. Per non parlare delle mille battute che in compagnia si ripetono a memoria, dalla scena della chiesa fino al “Chiedile se c’ha un’amica!

La pellicola si apre con i due amici, Saverio (Benigni) e Mario (Troisi) che stanno tornando a casa da scuola dopo il lavoro, il primo insegnante elementare e l’altro bidello, fermandosi per una visita veloce a Gabriellina, la sorella di Saverio ricoverata per una crisi depressiva in un istituto.

A bordo di una Ritmo Cabrio, i due battibeccano un po’ sulla situazione della ragazza, sedotta e abbandonata da un soldato americano di una base Nato. Saverio insiste che Mario dovrebbe fargli il favore di sposarla perché se fosse un vero amico lo farebbe. Arrivano quindi al passaggio a livello, e qui nasce un’ennesima discussione a causa del casellante che li avverte che potrebbero attendere anche due, tre o più treni, causa “smistamento”. I toni del film qui sono ancora abbastanza seri, nonostante qualche battuta. Benigni ride poco e Troisi è scocciato dall’insistenza dell’amico. Niente farebbe presagire quello che sta per accadere e quanto il piede pesterà sull’acceleratore della comicità.

Per ovviare all’inconveniente del passaggio a livello, decidono di prendere una stradina lì accanto, che a detta di Mario, prima o poi dovrà pure “zompare in coppa o’ passaggio a livello”.

Inoltrandosi per la campagna toscana, incappano in diversi bivi, finché l’auto non si ferma e sono costretti a ripararsi da un improvviso temporale, sotto a un albero. E qui s’innesca la scintilla che sarà il motore di tutto il film. Ancora oggi non è chiaro come, ma i due amici si ritrovano catapultati nell’anno 1492. Poco importa la spiegazione, se sia stato un fulmine, un temporale o cosa, i due corrono in una locanda e chiedono di poter dormire. Al risveglio scoprono di essere finiti nel passato, dopo che gente decisamente bizzarra continua a ripetere loro che sono nell’anno 1400, quasi 1500.

Dopo varie peripezie, giungono nel centro di Frittole e vengono ospitati da Vitellozzo e sua madre Parisina, l’inventrice del “Grazie Mario” che qua da me viene usato spesso per citare chi dice grazie a un altro e non a chi se lo merita.

Proprio dopo il salto nel passato escono le battute migliori, le scenette più divertenti e memorabile, tutte prive di volgarità, peti e donne discinte: qui si ride con eleganza.

Non mancano citazioni di personaggi storici dell’epoca, come appunto Savonarola, protagonista dello sketch della lettera, omaggio a De Filippo e Totò, oppure Leonardo Da Vinci che qui vediamo nelle vesti di uno zuccone che fatica a capire i concetti che vogliono spiegargli, e lo spettatore si chiede se il problema sia lui o gli insegnanti.

La struttura del film si basa su una serie di battute ben congeniate che riempiono in realtà una serie di sketch che potrebbero quasi funzionare anche da soli, uniti da alcuni fili conduttori che vengono poi abbandonati a scapito di nuovi. Se partiamo per dire con lo scopo di far liberare Vitellozzo dalle prigioni di Savonarola, in breve approdiamo a una nuova idea: quella di fermare Colombo.

Cosa aggiungere a un film che è parte integrante della mia vita quotidiana? Ogni volta che devo rispondere a mia moglie che ho capito, ripeto la scena della chiesa. Questo succede anche con i ragazzi che giocano a Pathfinder con me. Ripetiamo battute e scene senza nemmeno rendercene conto.

Le curiosità poi abbondano sulla pellicola. Ve ne elenco solo alcune di quelle che ricordo:

  • Esistono due versioni differenti. Il film cambia totalmente dopo la partenza da Frittole, più o meno al punto in cui Astriaha (Ines Peynado) tenta di fermarli. Preferisco decisamente quella classica in cui la lasciano a terra e proseguono il viaggio.
  • Difficile da trovare, ma non impossibile, è stato fatto anche un libro in cui alla fine i due capiscono come tornare ai giorni nostri. Sono sempre stato tentato ad acquistarlo e leggerlo.
  • Dopo mesi passati a non combinare nulla, tra una partita e l’altra a biliardo, i due comici se ne uscirono con una misera traccia: finiamo nel 1400 e vogliamo fermare Colombo. Come sia uscito il resto è un mistero, ma il risultato è geniale.
  • La scena della chiesa è quasi tutta improvvisata, tanto che Benigni e Monni scoppiano a ridere davvero. Hanno lasciato il tutto perché era naturale.

4 commenti

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  1. “Dì a Mario che ho voluto più bene a lui che a t… uguale, vi ho voluto bene uguale”

    1. «Lasciatelo dire Parisina, Mario è un farabutto!» «No» «Sì, invece» «No» «E no e ri-no»

  2. Uè, ma lo sai che la versione alternativa devo averla vista solo una volta, quand’ero piccino, ed è passato così tanto tempo che m’ero convinto d’averla sognata?
    😀

    Che bel film. E poi, chi ci dice che Leonardo non fosse sul serio così? Dopotutto, è un genio, visto che riesce a costruire il treno, nonostante i due insegnanti.

    😉

    1. In effetti dal delirio di Saverio solo un genio sarebbe riuscito a costruire un treno. Per carità, 33, 33 e 33!

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