DNA

Quello che c'è qui dentro fa paura

Giovedì scorso, sono uscito a cena con mio zio, la prima volta in 36 anni. Io e lui non ci siamo mai conosciuti, anche se ho passato lunghi periodi in casa sua, dai miei nonni. Ho persino frequentato per un paio di anni la scuola in cui insegnava elettrotecnica.

Nella mia famiglia, lui è sempre stato visto come un caso eccezionale e in qualche modo, sicuramente per me, una persona che ha avuto meriti e successo partendo da zero. I miei nonni erano proprietari di un piccolo podere, senza ricchezze eccessive, giusto quello che bastava per vivere dignitosamente e anche un po’ sopra dalla media, nel periodo della guerra e anche successivamente. Mio zio è nato dopo il conflitto, ultimo di quattro fratelli, capitanati da mio padre, il primogenito. Due opposti. Mio padre lavoratore instancabile in fonderia e anche sulla terra, lui studente senza sonno e media perfetta, con lode finale.

Nella mia infanzia lui era sempre fuori e lo vedevo appena a pranzo, qualche volta a cena, nei periodi che passavo dai miei nonni. Nell’adolescenza io ero una testa calda, uno scapestrato dai capelli lunghi e il chiodo, con pessimi voti, condotta deplorevole e vari casini in città. Me la sono sempre cavata, anche se mio zio non vide di buon occhio quegli anni.

Crescendo, mi feci una carriera nell’azienda in cui lavoravo, in cui tra l’altro il direttore era un suo amico d’infanzia e compagno di scuola fino all’università. Qui le cose un po’ cambiarono e lui in diverse occasioni mi fece i complimenti per come mi stavo muovendo nell’ambiente. Mi faceva piacere essere rivalutato per quello, ma ancora non riuscivo a mostrargli che avevo interessi in parte affini ai suoi. E ora vi dirò quanto.

Ero certo che, almeno da quello che dicevano, fosse preciso in tutto, un perfezionista. Questo, ripeto, sentendo le voci di chi lo conosceva. Allora arrivo con dieci minuti di anticipo, cosa inusuale per me, eterno ritardatario. E cosa accade? Arriva alle 20:05 e mi dice: «Beh, non sono tanto in ritardo.» Questa frase la uso anch’io  di solito.

Entriamo in pizzeria e scopro che non può mangiare la mozzarella. Io nemmeno e ripiego su quella di bufala di solito. Già queste due cose ci accomunano, piccole se vogliamo però…

Ci sediamo e iniziamo a parlare. Mi fa i complimenti per il libro, mi dice le sue impressioni sia positive e negative, con un punto di vista critico di chi legge da una vita. Consigli utili, soprattutto. Poi ammette di essersi piacevolmente stupito di questo mio lato che non conosceva, e che la dedica che gli ho fatto sulla sua copia, era centrata in pieno. Non ci siamo conosciuti, e questa è la verità.

Ma il bello doveva ancora venire. Mi parla della sua avversione per i dogmi degli accademici, legati troppo a crismi e modi antiquati di scrivere. Premetto che lui da ingegnere strutturale, si occupa di recupero di edifici storici, oltre a quelli civili, e scrive su  una rivista del territorio che esce due volte all’anno, in qualità di socio e curatore di una rubrica. Ammetteva che certi personaggi hanno appesantito la pubblicazione, con linguaggi vecchi e logori, allontanando le nuove idee e anche i lettori. Ho visto un parallelismo con quello che incontro io con i dottorini della scrittura e ne abbiamo parlato.

Mi ha anche raccontato della sua giornata tipica, in cui almeno due ore le passa a scrivere, delle riviste a cui apporta contributi, alla sua gioventù in un circolo di artisti e al rimpianto che luoghi così non esistano più. E anche su questi tre punti, mi ritrovavo a riportare le mie esperienze analoghe, appunto perché almeno due ore al giorno io scrivo, curo il blog e altre partecipazioni on line, e anch’io rimpiango quei vecchi circoli e caffè in cui ci si trovava a non parlare solo di sport. Gli ho raccontato quindi degli anni passati in quello che chiamavamo Elysium, una stanza della casa in cui abitavo anni fa con la mia famiglia, adibita esclusivamente al gioco di ruolo, alle cene tra amici del tavolo e altre attività ludiche. Proseguendo con la chiacchierata, ho scoperto perfino che amava disegnare, soprattutto a matita, e che sta aspettando la pensione per riprendere in mano questa passione abbandonata nell’adolescenza. Stessa cosa che ho fatto io.

Al termine della serata, facendo un bilancio, mi sono reso conto e credo

Le passioni si ereditano?

anche lui, che nonostante non ci siamo mai parlati prima, non ci siamo frequentati e dell’altro non sapevamo nulla, siamo uguali, davvero uguali in tante cose, perfino nella forza di volontà che abbiamo quando ci mettiamo in testa qualcosa, lui perdendo e mantenendo un peso ideale in breve tempo, io smettendo di fumare, passando da 40 sigarette al giorno a 0 dalla sera alla mattina.

Cos’è questo se non DNA?

7 commenti

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  1. È bello quello che hai scritto. E ne sono contento per te.

    P.S. si è vero, è DNA.

    1. Grazie Andrea. È impressionante però 😀 Non credevo potesse essere così forte, andando al di là di alcuni caratteri ereditari. Qui si parla di una percentuale alta, nonostante la distanza.

  2. Ecco, mi sono commossa. Uff.

    1. Dai, c’è il lieto fine, no? 😀

  3. molto bella quest’esperienza e soprattutto è bello come l’hai raccontata, con verità e lo stupore di un bambino.

    1. Grazie. Da una vita volevo vedere se i miei sospetti erano fondati. Beh, siamo andati oltre a ogni aspettativa 😀

    • Cristina il Gennaio 28, 2012 alle 7:06 pm
    • Rispondi

    Sicuramente c’è del Dna in mezzo che fa la sua buona parte. Po per il resto credo che si possa benissimo assomigliare ad un’altra persona, parente o meno che sia, fermo restando che sembrate due mele cadute dallo stesso ramo!! Non so cosa vi abbia allontanati negli anni e cosa vi abbia convinti ad uscire e trovarvi allo stesso tavolo. Di recente anche un mio zio si è riavvicinato alla famiglia, troppo lunga e complessa da raccontare la cosa qui, e soprattutto non interesserà a chi legge… ma il coraggio di uscire a cena con lui non mi verrà MAI! non mi passerebbe nemmeno nell’anticamera del cervello… troppo il male che ha fatto in passato a mia madre, sua sorella appunto, a mio nonno e a mia nonna quando ancora c’erano, e riaverlo nelle nostre vite non mi interessa proprio!!! Quindi in conclusione, buon per te e per tuo zio se il rapporto è così nonostante l’allontanamento che c’era. Continuate così 🙂

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