Nel 2006, mi capitò tra le mani, grazie a un amico che era in un periodo “alchemico”, questo Gods of Aberdeen, che per qualche motivo oscuro era stato tradotto in L’Ultimo Alchimista. Il titolo italiano credo che servisse ad attirare quella cerchia di lettori da ombrellone che ancora oggi cerca cloni di Dan Brown, nella speranza di leggere due righe in spiaggia e darsi un tono davanti agli altri bagnanti.
Ero un po’ scettico all’inizio, proprio a causa di questo titolo. Poi mi sono convinto e l’ho letto in pochi giorni. La storia parla di un circolo di studenti convinti di poter ricreare la pietra filosofale e altri miracoli alchemici. Nessuno alchimista è presente nel libro, in verità, tranne questo gruppo di ragazzi che si improvvisano tali, con conseguenze disastrose. E tutto a ritmo di iniziazioni e Bloody Mary, cocktail che viene bevuto in quantità notevoli da uno dei protagonisti, il carismatico e folle Arthur. Il protagonista, Eric, entrerà in sintonia con lui, iniziando a subirne l’influenza per poi svegliarsi e capire la pericolosità dell’esperimento portato avanti da Arthur.
La cosa strana e – scusate se esagero – meravigliosa di questo libro di Nathan Micah è che ti fa credere di leggere un certo genere di romanzo, trovandoti poi spiazzato per la strada che inizia a prendere più avanti. Se dapprima uno può quasi credere di essere davanti a un libro alla Dan Brown, per fortuna ha dei risvolti totalmente diversi. Nessun mistero di libri scomparsi da secoli né cavalieri Templari che posseggono il segreto finale: è la storia di una congrega di ragazzi, una storia che può finire male. Questo è Gods of Aberdeen, niente più, ed è per questo che il titolo italiano può trarre in inganno e attirare il lettore sbagliato.
Nota mia: restituii il libro al mio amico, visto che era suo, ma l’anno successivo lo trovai in un’offerta on line e lo comprai in edizione rilegata con sovraccoperta. Magari un giorno lo rileggerò.
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