Cercavo una citazione, non ricordo di chi, forse di King, uno degli autori più citati in tutto il web o l’universo stesso. Magari non era sua. Diceva qualcosa del tipo che l’autore che non scrive per lavoro, o almeno non si sostenta di quello, è più fortunato di lui, perché può scrivere quando ne ha voglia, mentre lui deve farlo per forza, mettendo giù i piedi dal letto e dirigendosi al PC.
Ecco, io non la condivido per nulla questa frase. Se non scrivi per lavoro, ti devi ritagliare per forza un angolino durante la giornata per farlo, in mezzo all’occupazione canonica che hai (di solito 8 ore, come minimo), colazione, pranzo, cena, doccia, letto e viaggi in auto. In più, ci vanno aggiunti i rapporti sociali extra lavoro, tipo famiglia, amici o altro. Non è che uno come me abbia proprio tutta questa scelta, questa opportunità per scrivere quando ne ho voglia: scrivo quando posso.
Scrivere quando il mondo me lo permette è diverso, molto diverso, dallo scrivere quando ne ho voglia. A volte, durante la settimana, ho una mezz’oretta libera, quel momento che la routine si dimentica di te e sembra essersi addormentata o congelata. Ma non sono una macchina, sebbene non conosca ancora, per fortuna, il blocco dello scrittore. Non posso mettermi lì alla tastiera con il timer e battere le ditina, correndo contro il tempo.
Ebbene, io sono più d’accordo con Carver, che dava un quadro più realistico di chi scrive come occupazione alternativa e non come lavoro primario.
In quel periodo immaginavo che, se fossi riuscito a ritagliarmi un’ora o due al giorno solo per me, dopo il lavoro e la famiglia, sarebbe stato anche più che abbastanza. Il paradiso. Ed ero contento di avere quell’ora. A volte, però, per una ragione o per l’altra, non riuscivo a prendermela. E allora confidavo nel sabato, benché a volte, succedessero cose che mandavano a monte anche il sabato. Ma c’era ancora la domenica in cui sperare. Domenica, forse. (R. Carver)
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