IT di Stephen King: dovreste rileggerlo.

Contro le mie stesse previsioni, ho letto IT di Stephen King. Sul serio. Lo comprai anni fa, approfittando di un’offerta, e lo misi nella libreria in attesa di un momento futuro per leggerlo.
Immaginavo, in realtà, di tenerlo per la pensione – non sto scherzando – o un periodo in cui mi sarei trovato a casa influenzato. E invece, complice l’imminente uscita del primo adattamento cinematografico[1], mi sono deciso e l’ho iniziato e finito.

Ma oggi non sono qui a scrivere il primo post del 2017 per recensire IT: non ce n’è bisogno. Non c’è davvero bisogno di una nuova recensione (cosa sarebbe, la milionesima?), bensì di rinfrescare la memoria ai miei colleghi autori, che parlano spesso di King, molto più di me, citandolo tra le loro fonti di ispirazione e come loro modello, nonché come autore che hanno letto e riletto.
Però, qualcosa non mi torna, qualcosa non funziona. E me ne sono accorto leggendo con occhio analitico IT, gustandomi sì la storia, ma cercando allo stesso tempo di studiare la tecnica e lo stile. Premetto che l’ho letto in italiano, trovandomelo nella libreria di casa, ma che ho usufruito molto spesso di Google per confrontare alcuni passaggi con la versione originale.
Da questo esperimento, sapete cosa è uscito? Che alcuni di voi leggono e molti non leggono proprio. Lo si vede quando sbircio le anteprime, quando leggo (leggevo, a dire il vero) i post nei gruppi di lettura/scrittura. Perché? Vediamo di capirlo riassumendo alcuni punti importanti che mi sono segnato leggendo IT.

Il Linguaggio

Se avete letto On Writing o qualche scaletta sui consigli di scrittura di King, sapete benissimo che lui incoraggia un uso naturale del linguaggio. Suggerisce di usare un linguaggio a voi vicino, quello che usate tutti i giorni. E se siete lettori attenti, vi sarete accorti che è ciò che fa lui, da bravo narratore da falò. Semplice, pulito e diretto. Non usa fronzoli. Non cerca di impressionarvi con termini astrusi solo per dirvi “Ehi, avete visto quanto sono scrittore, io?”
King è uno che vi dice di scrivere come mangiate, e di non vergognarvi della semplicità del vostro stile.
Eppure, spesso mi sono trovato a leggere incipit agghiaccianti, artificiali e meccanici, che tradivano l’insicurezza dell’autore, che cercava di mascherarla dietro una ricerca ossessiva dei termini o della costruzione eccessivamente melodrammatica dei periodi.

Gli Avverbi

Ne ho contati fino a 5 per pagina. Vi assicuro che se prendete una pagina a caso di IT (ma di un suo libro qualsiasi, o di qualsiasi altro libro di un altro autore) i famigerati avverbi – i più detestati sembrano quelli in –mente – sono presenti. Sempre. E c’è questo enorme equivoco per cui non dovresti MAI usarli.
Calmatevi. Respirate. Usateli pure, con moderazione, ma usateli se necessari. Esistono nella lingua italiana, esistono nelle altre lingue. Gli altri autori li usano, li usate quando parlate. Basta usarli quando servono.
Ah, preciso che ci sono pure nella versione originale, non si tratta di una colpa del traduttore.

N.B.L’immagine originale è di proprietà della Sergio Bonelli Editore

Il Verbo “Dire”

Questo lo potreste notare solo se leggeste la versione originale, perché il traduttore ha cercato in tutti i modi di correggere questa cosa. Non si sa su quale base, a dire il vero, ma è così.
Nei dialoghi, King usa la triade “dire-chiedere-rispondere”. Fine. Salvo casi rari, usa solo quei tre verbi, come tantissimi altri autori. Per dire, Elmore Leonard usa il verbo “dire” nel 90% dei casi.
Qualcuno mi disse che trovare sinonimi (ma Cristo, a volte sono proprio altri verbi, non solo sinonimi!) di “dire” serve per rendere meno monotona la lettura. Io quando inizio a leggere troppi “assentì”, “pronunciò”, “enunciò” ecc… mi chiedo come farebbero senza il suggeritore di Word…

“I verbi per i dialoghi sono due: dire e dire!”

Il POV

Ed eccoci al mio preferito: il POV. Solo a scriverlo mi scappa da ridere. Ricordo la frase di un tizio che disse che nel mio DD1 commettevo un errore da principiante perché il mio POV ballava. Ora, vi rimando a questo articolo di Davide Mana, perché lo rileggo a cadenza mensile, e poi tornate qui una volta letto. Dunque, non c’è bisogno che vi spieghi cosa sia il POV, e di come da 3 forme base si sia passati al delirio totale, dove un solo “gli rispose” fa cambiare il POV rispetto a un semplice “rispose”, ma dovrei farvi notare che in un romanzo come IT, il POV fai il cosiddetto Head-Hopping a ogni riga.
King passa dalla testa di uno dei protagonisti all’altro, in base a ciò che vuol fare trasparire. Ed è una cosa che a me sembra naturale, soprattutto se i protagonisti sono più di uno. Non vi piace? Vi confonde? Vi perdete mentre incappate nell’Head-Hopping?
Siate onesti e ammettete che è una questione soggettiva, e non buttatela su un discorso di ferree regole imparate nella Tana delle Tigri della Scrittura. Suvvia.
Perché se esiste davvero un dogma sul POV che accusa di essere un principiante qualcuno che usa una forma coscientemente (ripeto e sottolineo: coscientemente), abbiamo appena deciso che Stephen King è un principiante.
P.S. e se proprio la menate tanto con ‘sta storia del POV, ci vuole poco per mettervi nel sacco: basta che uno si metta a scrivere in prima persona e non in terza, e già siete nel panico del maestrino.

N.B.L’immagine originale è di proprietà della Sergio Bonelli Editore

In Conclusione

Questo non è un post per insegnarvi come scrivere, anzi, è un post che vi invita a leggere tanto, scrivere molto e a studiare gli altri autori, mentre lo fate. Invece di seguire i decaloghi di sedicenti insegnanti di scrittura, imparate a conoscere voi stessi e il vostro stile innato, perché è su quello che dovete lavorare partendo dallo studio e dalla analisi.
Ah, e sì, IT mi è piaciuto, nonostante la traduzione.

[1] L’altro era un miniserial per la TV. Devo davvero ripeterlo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.