Al tempo mi ero dimenticato di pubblicare in versione integrale, questo racconto che partecipò al concorso Premio Scheletri 2012. Altre informazioni le trovate QUI. In verità non si tratta veramente della versione integrale, in quanto l’originale era composta da più di 700 parole e, ahimé, per questioni di concorso, dovetti fare dei tagli. Purtroppo durante l’operazione di taglio e revisione, arrivò la solita telefonata a farmi distrarre e commettere l’errore fatale: dopo aver premuto il tasto canc, passai a salvare, sovrascrivendo il file sbagliato. Una parte che mi piaceva molto è perduta per sempre. A ogni modo, qui trovate la versione estesa prima del taglio finale. Fatemi sapere se vi è piaciuto.
Il Musicista
Disertai. Almeno credo che si possa definire così, anche se non lo feci solo per il terrore che provavo sul campo, ma perché capii che non c’era più nulla da fare. Sicuramente in pochi giorni sarei morto anch’io, insieme a quelle persone di cui non conoscevo nemmeno il nome, partite con me dalla capitale. Qualcuno era partito per l’onore e l’amore per la patria, altri, come me, per la fame. Speravo di guadagnare qualche soldo e avere un pasto garantito, seppur minimo e scarso come quello che passavano. La brodaglia collosa, mi ricordava l’impasto per i maiali che mio padre serviva alle bestie due volte al giorno. Eravamo anche noi animali? No, forse disperati buttati nella mischia per reggere le fila di difesa di questa terra martoriata.
Arrivai in una radura con il fiato corto. Temevo che i mastini mi rincorressero, i nostri o i loro, non faceva differenza. Ebbi un sussulto quando vidi il capanno, ma soprattutto lui, l’uomo. Seduto su una panca di legno, era intento ad accordare il suo strumento. Accanto a lui, un cane dormiva steso nell’erba, davanti a un fuoco su cui ribolliva una pentola. Quando arrivai, drizzò la testa. Sentii le viscere liquefarsi. Ero disarmato, stanco e forse ferito. Il cane mi squadrò e poi sbadigliò, stiracchiandosi.
«Oh, tranquillo, non fa niente», esclamò l’uomo, senza alzare la testa.
C’era serenità in quell’uomo, un’innaturale aura benevola, un senso di quiete che sembrava diffondersi in tutta la radura. Sentii di dovermi avvicinare, e riposarmi lì.
L’uomo indicò la pentola. «Stufato. In queste sere calde, amo mangiare all’aperto, mentre suono. Gradisci?», la sua voce era gentile.
«Chi… chi sei tu?», chiesi incerto. Il terrore di essere catturato e portato alla forca come disertore, mi stringeva lo stomaco.
«Nulla di più che un musicista.»
Accettai il pasto. La fame mi era improvvisamente tornata. Pochi istanti prima non credevo che sarei riuscito a ingoiare nemmeno un boccone.
«Vivi qui?», chiesi.
«Sono solo di passaggio. Ho trovato questo capanno da caccia e ho deciso di usarlo per comporre.»
Il cane si alzò, annusando lo stufato. Si stiracchiò e si diresse verso gli alberi. Scomparve nel folto del bosco. L’atmosfera era irreale, tanto che temetti di trovarmi di fronte alla morte in persona, apparsami in sogno in quelle vesti.
«No, ragazzo mio, non sono chi credi tu», esclamò l’uomo. Soffiò sullo stufato e si portò il cucchiaio alla bocca.
Rimasi sgomento. «Cosa?»
«Ti chiedevi se fossi venuto per portarti via. Non ho bisogno delle tue spoglie mortali né della tua vita. Ho bisogno solo che tu mi riporti i dolori di chi è morto su quel campo», rispose con un sorriso amaro.
«Non capisco cosa intendi.»
«Anni fa, ero un soldato come te. Portai con me quello strumento che vedi, per allietare i miei compagni alla sera, davanti a fuochi come questo. Quando morii…»
Mi accorsi di avere la bocca paralizzata. Sapevo, lo sentivo, che mi stava dicendo la verità. «Tu, moristi?»
«Mi venne a prendere per mano un uomo, che mi porto in un cimitero. Lì, il suo padrone che chiamava il Re del Cimitero, mi diede un’altra possibilità. Ma c’era un prezzo da pagare.»
«Quale? Dimmelo!»
«Avrei dovuto comporre canzoni per lui, strofe e strofe sui dolori degli uomini, perché è di questo che lui si nutre.»
Prese una pausa per guardare il suo cane tornare. Aveva il muso sporco di sangue, rosso e lucente. «E dove, se non vicino a un campo di battaglia, si possono assorbire e ascoltare, i racconti delle sofferenze più atroci?»
Deglutendo, chinai il capo e iniziai a raccontare.
4 commenti
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Per un attimo ho temuto che il musicista cucinasse la carne dei soldati che uccideva attirandoli con la musica! Comunque è un buon testo, poetico pur nella sua crudezza.
Autore
Grazie, mi dispiace solo manchi una parte che non ritroverò mai più 🙁
Buona, l’idea
Autore
Grazie Bruno. Lo spazio era poco. Mi è toccato anche tagliare 🙂