Hot Kid di Elmore Leonard

Elmore Leonard era un grande autore, di quelli che hanno talento e costanza, e che come gli artigiani, anche a 80 anni riescono a creare opere che i giovani apprendisti si possono scordare. Come McCarthy, anche se l’età avanza, scrivono opere con linguaggi attuali, popolari, adatti a tutti seppur con una ricercatezza di termini che dimostrano le loro capacità.
Questo Hot Kid (The Hot Kid) mi ha colpito fin dalle prime pagine, e posso dire che aver dedicato un mese all’autore, non è nulla. Scriverne la recensione, non gli renderà giustizia.

Copertina

Copertina

Trama

Carlos “Carl” Webster e Jack Belmont. Entrambi figli di petrolieri negli anni ’30, nell’età d’oro del petrolio. I due padri potrebbero coprirli di oro, dar loro in mano l’attività un giorno, eppure i due prendo due strade diverse: Carl diventerà un marshal dopo aver subito un affronto da un gangster e aver visto uccidere un ufficiale davanti agli occhi, e Jack diverrà un fuorilegge, perché qualcosa dentro di lui non funziona.
Spesso si incontreranno durante la loro vita, tanto che a un certo punto diverrà una sfida all’ultimo proiettile tra i due. Carl lo vorrebbe arrestare, Jack vorrebbe sparargli in faccia. Ma Carl è famoso perché estrae solo per uccidere, come scriverà il giornalista Antonio Antonelli.

Elmore Leonard

Elmore Leonard

Considerazioni

Elmore Leonard ha un background molto simile a McCarthy, almeno come provenienza. Anche lui infatti, ha all’attivo molte storie sulla Frontiera americana, cicli western che hanno preso la prima parte della vita dell’autore. Una volta resosi conto che la vena western se ne stava andando nel dimenticatoio, Leonard è passato alle crime story, donando loro connotati da vecchio west seppure l’ambiente, come in questo caso, è quello degli anni ’30. E il risultato è eccezionale.

Copertina italiana

Copertina italiana

 

Dialoghi che prendono intere pagine, battute e controbattute, talmente ben elaborate da dare da sole l’idea di quello che vediamo, del carattere dei protagonisti, delle loro abitudini e dei loro pensieri profondi. Poche righe bastano per l’ambientazione, qualcuna in più per le riflessioni e per descriverci gli antefatti. Il resto è dialogo, e come sapete, io amo queste cose.

“In piedi accanto alla porta, vide Venicia che lo guardava. Le restituì lo sguardo e le sorrise. Lei restò seria. S’incontrarono nel corridoio, alla fine della seduta. Carl alzò una mano a toccarsi il cappello che non aveva.
– Miss Munson, lieto di vederla ancora.
Le sembrava in buona forma, come se qualche ragazza di classe le avesse insegnato a truccarsi e a sistemarsi il cappellino proprio su un occhio. Anzi, aveva un che di impertinente, tra soprabito e copricapo.
– Ha qualcosa a che fare col processo? – disse lui, cercando di farla sembrare un’esperienza gradevole.
– Ho qualcosa a che fare con lei, – disse Venicia. – Sono venuta a riprendermi il fucile, un Winchester con mirino telescopico che mi aveva portato via da casa.
Carl si ricordò di aver mirato alla Essex, nel buio, ai fanalini posteriori… – Non gliel’ho mai fatto riavere, eh?
– Crede che sarei qui, se no? – disse lei, la bocca una ferita rossa, negli occhi il ricordo della morte del suo amichetto Peyton.
– Capirà che nel suo rapporto il coroner ha dovuto fornire un’accurata descrizione di quel fucile, oltre che rilevarne le impronte digitali per dimostrare che ero stato io a usarlo. Poi me l’hanno restituito, e aspettavo solo di capitare dalle parti di Bunch per riconsegnarglielo… Oppure darlo a qualcuno che andava nella sua zona…
– Ce l’ha ancora lei?
– Certo. Nel mio appartamento, sulla South Cheyenne.
– Posso venire a prenderlo? – disse Venicia. – In fin dei conti, ce l’ha solo da quattordici mesi.
– Guardi, mi spiace davvero, – disse Carl. – Me n’ero dimenticato.
Lei disse: – Se adesso va a casa le vengo dietro, così ci togliamo il pensiero.
Uscirono assieme dal tribunale, Carl che teneva viva la conversazione.
Louly gli diceva: – Mi ami, Carl? Mi ami davvero?
Lui rispondeva: – Hai saputo rompere il mio guscio.
Lei diceva: – Ma non riesci mai a essere serio?
Lui diceva: – Se gliela faccio a mio padre, una battuta del genere, uno che ha in testa solo noci, gusci e tutto quanto, lo vedi cosa mi dice.
Lei gli dava una botta sul braccio e uno spintone. Anche Carl aveva rotto il suo guscio.
E gli diceva: – Perché non ci sposiamo?
– Tra matrimonio e figli non so se riuscirei più a gettarmi a corpo morto nel lavoro.
Lei sapeva che Carl diceva sul serio, non era una scusa, e gli diceva: – Non c’è bisogno di gettarsi tutto intero, nel lavoro, basta anche un po’ meno -. Lui le sorrideva e la prendeva tra le braccia e la baciava.”

 

Questo è un esempio chiaro di com’è strutturato il libro. Nonostante potreste essere restii a leggere qualcosa così minimalista, vi consiglio di leggerlo. Ne vale davvero la pena.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.