Due Parole su Stranger Things

Gli anni ’80, è innegabile, sono stati pieni di innovazioni e ricchi di un entusiasmo che è difficile ritrovare successivamente. Molta sperimentazione in campo ludico (vedi Atari, e poi Commodore), cinematografico (qui, solo in campo horror e sci-fi abbiamo un elenco quasi infinito), musicale e anche letterario, fanno di quella decade la madre per gli sviluppi negli anni successivi. Gli anni ’90 e 2000 sembrano solo evoluzioni di ciò che è nato negli anni ’80, insomma.

La locandina è al 100% 80's

La locandina è al 100% 80’s

Ed è per questo, che in questi ultimi anni, si sta creando un fenomeno nostalgico che porta a ricreare su schermo quelle atmosfere. Possiamo pensare a The House of the Devil di Ti West, ma anche al simpatico e geniale Kung Fury.
Da quelle atmosfere, parte proprio questo Stranger Things, serial che mette indietro l’orologio e riavvolge il nastro del nostro VHS, riportandoci a quegli anni.

La serie è ambientata negli anni ’80, e ripropone tutti gli elementi tipici, ricreandone le scene e le atmosfere, grazie al setting ben ricostruito e alle musiche fatte con il sintetizzatore.
Ma sulla trama e certi particolari ne leggerete ovunque. Io, invece, volevo sottolineare alcuni aspetti di questo serial, che dovrebbero segnarsi pure i produttori americani, quando dovranno rimettere in moto altre serie TV.

1 – Gli attori
Non ci sono bellocci né bellocce. Sono tutti di aspetto comune, nonostante riusciamo a ricordarci le loro facce, ma nessuno di loro sembra un bambolotto. Anche lo sceriffo ci viene mostrato nella sua prima apparizione con la pancetta, il che ce lo rende più familiare rispetto a un falso modello palestrato. Persino la mancanza di trucco sui visi degli attori, che ne mostra imperfezioni e brufoli, fa sì che ci sentiamo più a nostro agio e ci concentriamo sulle loro storie.

Visi comuni anche per i teenager

Visi comuni anche per i teenager

2 – No soap opera
Le produzioni americane, da Twin Peaks in poi – capostipite dei serial successivi made in U.S.A., nato come esperimento di mischiare il poliziesco con Peyton Place[1]– contengono elementi da soap opera, con scene che ci mostrano sottotrame parallele alla principale, ma che non aggiungono nulla alla stessa, rallentando di fatto la narrazione del serial.
Ecco, Strange Things è un prodotto pre- Twin Peaks, e come è giusto che sia non ne condivide questi elementi. I tre punti di vista – ragazzini, ragazzi, adulti – si muovono contemporaneamente per la trama principale, e la ricerca di Will.

3 – Cliché
I produttori di Stranger Things pescano a mani piene da quelli che erano archetipi – o chiamateli cliché, ma in questo caso non userei quel termine che pare dispregiativo – degli anni ’80, riportati in molte produzioni dell’epoca, ma lo fanno in modo così intelligente e delicato, che non sembrano estranei né forzati, bensì omaggi e citazioni da andare a scovare. E tutti funzionali alla trama. Un esempio? I walkie talkie, visti spesso in mano ai ragazzini che comunicavano così da casa in casa di notte. Vedi quelli, torni agli anni ’80. Fine.

Uno dei miei omaggi preferiti

Uno dei miei omaggi preferiti

Questi sono solo 3 punti che ho apprezzato e notato alla prima visione del serial, ma sono sicuro che altre riflessioni usciranno alla prossima, cosa che ho intenzione di fare già fra qualche settimana. Mi auguro davvero che questo serial possa essere da esempio per le produzioni future, e che certi schemi, nati negli anni ’90, vengano abbandonati, grazie anche ai canali come Netflix che possono permettersi di essere coraggiosi e creativi, senza dover sottostare alle regole degli sponsor e a quelle del minutaggio per farli felici.
Insomma, nel 2016, facendo un salto negli anni ’80, potrebbero essere state gettate ancora una volta le basi per il futuro.

[1] Non sto inventando nulla, andò così. Questo, se funzionava nella serie di Lynch e Frost, funziona molto meno in quelle successive.

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