In Trance (recensione)

Danny Boyle è uno di quei registi di cui non apprezzo tutta l’opera, ma che quello che mi piace, mi piace davvero. Do sempre una possibilità quindi ai suoi film, sicuro che bene o male, qualcosa di innovativo o una buona idea, la troverò. Per questo ho visto senza pensarci due volte, questo suo In Trance. Ed è giusto che scriva la recensione di In Trance per quello che ho percepito io.
So già con certezza che In Trance spiegazione o In Trance finale, saranno digitate molto in queste settimane su Google, ma come al solito non mi interesserà quello.

Locandina

Locandina

Trama

Simon (James McAvoy) è un diligente assistente di una casa d’aste, innamorato dell’arte. Grande è la sua passione per Rembrandt e per Goya, ed è proprio durante l’asta di un quadro di quest’ultimo, che la casa viene assalita da alcuni rapinatori, capitanati da Frank (Vincent Cassel). Simon cerca di fermare Frank, ricevendo una botta alla testa dal rapinatore, perdendo così la memoria degli ultimi attimi. Costretto a ricordare dove si trovi il quadro, si rivolge all’esperta di ipnosi Elizabeth (Rosario Dawson), recuperando così poco alla volta, frammenti ben nascosti nella sua mente.

Danny Boyle

Danny Boyle

Considerazioni
OCCHIO AGLI SPOILER

Anticipo una cosa: promosso a pieni voti.
In Trance è un film in cui realtà e stato mentale alterato, in questo caso l’ipnosi che porta Simon a vivere momenti che sono solo nella sua mente, si mixano perfettamente. C’è onestà nel modo di portare avanti queste diverse realtà, da parte di Danny Boyle. Basta prestare attenzione ai particolari per arrivare alla fine senza dubbi e senza per l’appunto cercare In Trance spiegazione. Perché? Perché la trama è scritta bene, non è fatta di sub-strati fatti per ingannare lo spettatore, come per esempio avvenne con Looper.

Non è questa l'immagine famosa, ma comunque ha il suo significato

Non è questa l’immagine famosa, ma comunque ha il suo significato

Ma Boyle sembra fatto di un’altra pasta, forse perché punta sulla qualità del girato, della storia e sulla bravura degli interpreti. Confeziona così un cubo di Rubik preciso, senza sbavature, dove girare e girare, finché tutti i pezzi sono al loro posto. Non ho scelto l’esempio del cubo a caso, e lo vedrete il perché.
La cosa a mio avviso stramba, è che per fare un po’ di hype si sia puntato a una scena con la Dawson, di cui il web si è riempito, e che ha fatto pubblicità al film già mesi fa. E pensare che quella scena ha una logica artistica, e che si rifà a una particolarità di Simon, amante dell’arte pudica e priva di peli pubici, del periodo antecedente alla Maja Desnuda del Goya, primo artista che introdusse l’elemento nei quadri. Simon è legato alla figura della donna glabra, ed è un ennesimo indizio per capire il mistero che ha rinchiuso (sì, letteralmente) nella sua mente.

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